L’intelligenza artificiale diventa arma, e la memoria un algoritmo
Da Google a OpenAI, dal veto tedesco al Chat Control fino ai like di Meloni ed il 7 ottobre tra algoritmi, propaganda e memoria.
Caro lettore,
ci sono settimane in cui il mondo digitale sembra respirare con un solo battito, quello della sicurezza che vacilla e della comunicazione che cambia. Da un lato, Google che avverte il fondatore di Binance di un attacco statale; dall’altro, OpenAI che disattiva decine di reti che abusano dell’intelligenza artificiale, mentre la Corea del Nord firma l’anno con il record di furti crypto. Sullo sfondo, l’Europa discute se sacrificare la privacy per la sicurezza, Israele ricorda il 7 ottobre tra memoria e polarizzazione, e l’Italia digitale si specchia nei like dei suoi leader. È la cronaca di un equilibrio fragile: potere, algoritmi e opinione pubblica si intrecciano in una trama che solo l’analisi OSINT ESCLUSIVA e COSTANTE di Matrice Digitale riesce a decifrare.
Guerra ibrida tra AI e Crypto: Google e OpenAI sfidano gli hacker di Stato
Il mese si apre con un allarme che scuote l’intero ecosistema digitale. Google invia un avviso di sicurezza a Changpeng Zhao, fondatore di Binance, segnalando un tentativo di intrusione classificato come attacco statale. È il segno di una nuova fase nella guerra silenziosa tra Stati e infrastrutture private del mondo crypto. La Threat Analysis Group di Google individua pattern riconducibili a gruppi APT di matrice nordcoreana, gli stessi che da anni colpiscono exchange e sviluppatori blockchain. L’episodio non è un caso isolato: rientra in un ciclo più ampio di operazioni coordinate, dove la cybersicurezza diventa frontiera geopolitica.
CZ, pubblicando l’avviso sul suo profilo X, ha trasformato l’allerta in un messaggio globale: “La trasparenza protegge tutti”. L’invito è a rafforzare la protezione personale e aziendale, perché nel mirino non ci sono più solo i fondi ma la leadership stessa del settore crypto. Dietro la schermata di login si combatte una guerra fatta di spear phishing, deepfake, social engineering e exploit zero-day. Gli attacchi partono da profili LinkedIn fasulli, arrivano a interviste simulate e si concludono con l’infiltrazione nei sistemi di gestione fondi. Leggi
A dare la misura della minaccia ci sono i numeri. Secondo Elliptic, nel solo 2025 gli hacker nordcoreani hanno rubato oltre 1,8 miliardi di euro, la cifra più alta mai registrata. Questi fondi — tracciati attraverso wallet collegati a Pyongyang — finanziano in parte il programma nucleare del regime. Gli analisti parlano di un’economia d’assalto digitale, dove il confine tra cybercrime e sovranità nazionale si dissolve. Leggi
Nel frattempo OpenAI colpisce al cuore l’altra metà del problema: l’abuso dell’intelligenza artificiale. Il suo team di sicurezza ha disattivato oltre 40 reti che sfruttavano modelli generativi per sviluppare malware, campagne di disinformazione e truffe digitali. Dalla Russia alla Cambogia, dalla Corea alla Cina, l’AI è diventata strumento e obiettivo di un conflitto diffuso. Nelle pieghe del rapporto emergono pattern ricorrenti: phishing automatizzato, creazione di trojan, fake recruiter e monitoraggio politico di Stato. Leggi
Nel paradosso dell’AI che difende da sé stessa, OpenAI si ritrova a fare ciò che Google fa con la minaccia umana: bloccare, tracciare, disinnescare. Ma l’equilibrio è precario. Gli stessi strumenti di automazione e apprendimento che costruiscono modelli difensivi possono essere piegati a fini offensivi. Così, mentre Google e OpenAI cercano di blindare il cyberspazio, la Corea del Nord ne monetizza le falle, trasformando la vulnerabilità digitale in leva economica e militare. È la dimostrazione che l’AI, oggi, è un terreno di potere: chi la controlla decide il grado di sicurezza del mondo connesso.
7 ottobre: la memoria online tra rituale e polarizzazione
Due anni dopo gli attacchi di Hamas, il 7 ottobre torna a essere una data di memoria collettiva e divisione politica. Su X, l’analisi OSINT di Matrice Digitale mostra 4.661 tweet e oltre 100.000 like in una giornata che ha alternato commemorazioni, polemiche e tensioni in piazza. L’algoritmo dell’emotività ha sostituito la liturgia del silenzio: mentre Israele ricorda al memoriale del Nova Festival, l’Italia discute tra cordoglio e ideologia. I dati parlano chiaro: il sentiment complessivo è 45% neutro, 38% positivo e 16% negativo. Le parole chiave più usate – Israele, Gaza, 7ottobre2025 – restituiscono un campo semantico dove memoria e conflitto si sovrappongono. I tweet di Carlo Calenda e Luigi Marattin incarnano il registro istituzionale; quelli di Francesca Albanese e dei profili pro-Palestina, la spinta antagonista. La memoria diventa terreno di contesa simbolica, specchio delle fratture europee su guerra e pace. Sul piano narrativo, i rituali israeliani confermano la centralità del trauma: nei kibbutzim e a Tel Aviv il lutto si intreccia alla richiesta di rilascio degli ostaggi. In Italia, invece, la cronaca si sposta sull’ordine pubblico. A Milano, un flash mob sobrio evoca solidarietà; a Torino e Bologna, tensioni e divieti mostrano l’altra faccia della memoria: quella che divide. Nella rete, la figura di Liliana Segre emerge come bussola morale, mentre Francesca Albanese polarizza la conversazione. Entrambe raccolgono lo stesso mix di sentiment: 49% positivo, 31% neutro, 20% negativo. Nessuna vince, entrambe incarnano verità parziali in un ecosistema dove ogni like è un atto politico. La memoria del 7 ottobre, dunque, non scompare: si frammenta. Vive tra i post che invocano giustizia e quelli che denunciano doppi standard, tra chi prega e chi protesta. È una memoria che cambia lingua, piattaforma e tono, ma resta il termometro di un Occidente diviso tra ricordo e retorica.
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Chat Control: Berlino blocca l’Europa, Europol preme sull’Italia
Mentre Israele ricorda, l’Europa discute se sorvegliare. Il progetto di chat control dell’Unione Europea — che imporrebbe la scansione dei messaggi privati — si arena davanti al veto della Germania, sostenuta da Polonia e Paesi Bassi. Il deputato Jens Spahn lo definisce “un’apertura indiscriminata delle lettere digitali dei cittadini”. In un’Europa che invoca sicurezza, Berlino risponde con la parola più fragile ma necessaria: privacy. La proposta, nel suo impianto tecnico, prevede filtri di intelligenza artificiale capaci di rilevare contenuti pedopornografici anche nelle chat cifrate. Un meccanismo che smantellerebbe la crittografia end-to-end, trasformando piattaforme come Signal e WhatsApp in spazi sorvegliati per legge. Meredith Whittaker, presidente di Signal, ha già annunciato che in caso di approvazione il servizio abbandonerebbe l’Europa. Parallelamente, Europol — attraverso la direttrice Catherine De Bolle — intensifica i contatti con l’Italia. A Roma, negli incontri con i vertici di Polizia, Carabinieri e Guardia di Finanza, De Bolle ribadisce la necessità di strumenti legali per indagare i crimini online, ma ammette: la sicurezza non può calpestare i diritti fondamentali. Le immagini ufficiali della visita, con la sua sciarpa blu e bianca, diventano simbolo visivo di un equilibrio delicato tra protezione e sorveglianza. Il regolamento europeo sul CSAM (materiale di abuso su minori) è così diventato il campo di battaglia tra due visioni: quella che chiede più controllo per combattere il crimine, e quella che teme un’infrastruttura permanente di sorveglianza. L’esperienza britannica — dove l’Online Safety Act ha già generato violazioni e fughe di dati — pesa come un precedente. L’Europa è a un bivio: scegliere tra un modello di sicurezza algoritmica e uno di democrazia digitale. Con la Germania che guida il fronte del no e l’Italia chiamata a decidere, il voto rinviato del 14 ottobre 2025 sarà più di una consultazione tecnica: sarà un referendum sul futuro stesso della privacy europea.
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Meloni domina i like ma perde il sentiment: il metaverso italiano si ribella
Nel laboratorio OSINT di Matrice Digitale, la premier Giorgia Meloni è la protagonista assoluta del mese. Con oltre 706.000 like e 104.000 condivisioni, domina la classifica dell’engagement politico su X. Eppure, dietro la potenza numerica, si nasconde una frattura: il sentiment del pubblico è il più negativo mai registrato per la sua leadership digitale. L’indagine “Metaverso Politico” rivela un panorama di oltre 10 milioni di interazioni tra settembre e ottobre. Meloni guida l’arena per visibilità, ma la polarizzazione è evidente: 31% positivo, 31% neutro, 38% negativo. La comunicazione emotiva che l’ha resa icona globale — tra patriottismo, fede e identità — comincia a produrre logoramento interno. I dati raccontano due dinamiche parallele. Da un lato, l’alleanza algoritmica internazionale che amplifica la premier: Narendra Modi, Sarah For Trump, Mega-Politics e The British Patriot rilanciano i suoi tweet a milioni di utenti. Dall’altro, l’arena italiana dove il consenso diventa campo di battaglia. L’hashtag #Meloni è il più usato del mese, ma accanto a esso proliferano le contro-narrazioni: #governodellavergogna, #meloni_vergogna_nazionale, #freepalestine. L’OSINT mostra come la leader italiana sia oggi nodo di una rete transnazionale di eco digitale che unisce Roma, Washington e Nuova Delhi. I suoi messaggi — dal cordoglio per Charlie Kirk alla linea su Gaza — vengono reinterpretati da influencer sovranisti come simboli di una destra globale unita. È la diplomazia social, dove un tweet vale più di un comunicato. Eppure, proprio in questa amplificazione risiede la fragilità. Il record di like arriva insieme al record di polarizzazione: più la voce cresce, più divide. È il paradosso del potere algoritmico: ogni click che sostiene ne genera uno che contesta. Nel metaverso politico, la popolarità è una fiamma che illumina e brucia allo stesso tempo.
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Mainstream su X: l’Italia piange Paolo e litiga su Gaza
Chiudiamo con un’altra lente OSINT, questa volta puntata sui quotidiani italiani. La ricerca Mainstream, realizzata da Matrice Digitale con le piattaforme Antares e Aldebaran, mostra un giornalismo digitale attraversato da empatia e polarizzazione. Su X, dieci testate nazionali — dal Corriere alla Repubblica, dal Tempo al Manifesto — hanno generato oltre 660.000 like e 85.000 commenti in un solo mese. La notizia più condivisa è quella che nessuno avrebbe voluto leggere: la storia di Paolo, 14 anni, morto suicida dopo episodi di bullismo, spinta dal Corriere della Sera con 2.427 like. È il segno che, in un flusso dominato da politica e conflitto, la cronaca emotiva resta il motore più potente dell’attenzione collettiva. A seguire, la vicenda dello studente romano legato a Charlie Kirk e la copertura sulla Global Sumud Flotilla. Le redazioni alternano pathos e ideologia, in un equilibrio difficile tra informazione e performance digitale. I dati di Aldebaran sul sentiment rivelano un quadro sorprendente: Libero è il più positivo (87%), Repubblica il più divisivo, Corriere il più costante. Il pubblico reagisce non tanto ai contenuti quanto ai frame emotivi: cronaca per empatizzare, ideologia per schierarsi. Laddove l’identità editoriale è chiara, come per Libero o La Verità, la community si compatta; dove prevale la complessità, come nei giornali generalisti, emergono neutralità e conflitto. Il caso Paolo diventa così una parabola del giornalismo digitale: quando la notizia tocca il dolore reale, il pubblico risponde con compassione; quando tocca ideologia, risponde con rabbia. È il segno che la rete non premia chi urla di più, ma chi sa ancora raccontare con umanità. Nel settembre del mainstream italiano, l’empatia ha vinto sullo scontro, ma per poco. Perché la stessa timeline che piange un ragazzo di 14 anni si infiamma un minuto dopo per Gaza o per un tweet politico. L’attenzione è liquida, ma la sua misurazione – tra gradimento, viralità e dibattito – resta la bussola per capire chi ancora riesce a informare invece di infiammare.
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